“Come sono tutti nervosi, e quanto amore, oh lago stregone!”

ovvero uno studio su “Il gabbiano” di Anton Cechov

drammaturgia e regia di Riccardo De Luca

 

PERSONAGGI E INTERPRETI

EVGHENJA SERGHÈEVNA – Anna Rosa Confuorto

SEMIÒN SEMIÒNOVIČ MEDVÈDENKO – Michele Romano

MASCIA – Elisabetta De Luca

KONSTANTÌN GAVRÌLOVIČ TREPLIÒV – Gennaro Maresca

NINA MICHÀJLOVNA ZARÈČNAJA – Annalisa Renzulli

IRINA NIKOLÀEVNA ARKÀDINA – Milena Cozzolino

BORÌS ALEKSÈEVIČ TRIGÒRIN – Roberta De Pasquale

regia, costumi, coreografie –  Riccardo De Luca

Introduzione a Il gabbiano

Ho incentrato lo spettacolo sulle azioni — più o meno mentali — dei personaggi principali: Nina (riguarda tutti il tema della vocazione che sconfigge la paura della vita), Trepliov (la ricerca della verità fino alle estreme conseguenze), Mascia (la bellezza della spregiudicatezza e l’infelicità dell’amore divorante), Trigorin (il successo nemico della vita), Arkadina (l’esibizionismo che mortifica l’arte), Medvedenko (la lamentazione che deprime la vitalità) e ho creato intorno a loro un fool cechoviano, Evghenja, dal nome dell’amata madre di Anton, che tesse le trame e riprende quello che di Cechov hanno i personaggi qui esclusi: Dorn, Sorin, Polina Andreevna, nonché la descrizione dei luoghi dove si svolge la storia attraverso le splendide didascalie cechoviane.

Il tutto attraverso una ricerca di studio dove hanno lavorato i sette attori, tutti giovani che hanno in sé quel futuro radioso di cui Cechov era meravigliosamente convinto.

Introduzione a Le Nozze

REVUNOV — “Jammo, guagliù, facimmoce annore, simmo napulitane!”
TUTTI GLI ALTRI — “Che?”
REVUNOV — “Pecché, che simmo?”
TUTTI GLI ALTRI“Russi!”
REVUNOV — “Ah, aggio capito… Jammo, guagliù, facimmoce annore, simmo napulitane!”

Ho sempre avvertito un certo disagio a fingerci di qualche altro posto che non sia il nostro. Com’è possibile che non si possa essere quei personaggi rimanendo nella propria terra? Le nozze di Cechov sono un fantastico grottesco affresco sia che si svolga in Russia che in Papuasia che a Londra che a Napoli. Noi siamo qui, o forse non si sa dove più siamo, né “quando” siamo. E pur trovando essenziale misurasi con il teatro “estero” penso che ci portiamo sempre tutti dietro la nostra terra. Ammesso che esista una terra che non sia la nostra. Il mozzo scambiato per un generale, viene qui a immaginarsi dentro La tempesta” Eduardo/Shakespeariana e i temi delle piccinerie egoiste, dei dispettosi esibizionismi, delle semplicità pericolose, sono temi universali. Insomma un elettrico, pacchiano, sospeso imbroglio tra Russi e Partenopei, in salsa di zingaresco vaudeville.

Il tutto attraverso una ricerca di studio dove hanno lavorato gli undici attori,  tutti giovani che hanno in sé quel futuro radioso di cui Cechov era meravigliosamente convinto.

Introduzione ai due spettacoli

Il Gabbiano e Le nozze sono due famosi testi di Anton Cechov. Li abbiamo affrontati insieme perché sono speculari e assieme racchiudono il suo universo. Il gabbiano è — ma non è, “sembra” — la quintessenza del dramma cechoviano. Grandi passioni incompiute, triangoli amorosi incompiuti, suicidi incompiuti. Ma anche questo “sembra”. Sì perché alla fine le passioni nel loro consumarsi si compiono, i triangoli si riformano, i suicidi si attuano. Tutto nei testi di Cechov “sembra”. Sembra che non accada niente — Cechov stesso nel descrivere ironicamente Il gabbiano parla di “poca o nessuna azione” ma Stanislavskij ne ribalta il senso: “Le sue opere teatrali sono molto ricche di azioni, non nello sviluppo esterno, ma in quello interno.” Sembra

che ci sia troppa banalità nei drammi di Cechov, sembra, perché è proprio il disgusto verso il grigiore e la banalità che muove Cechov a proiettarsi verso futuri effervescenti e luminosi. Sempre Stanislavskij: “Nonostante le banalità che continuamente egli

sembra rappresentare, Cechov parla sempre attraverso il suo fondamentale leitmotiv spirituale, non del casuale, non del particolare, ma dell’Umano scritto con la maiuscola.” Il centro del teatro di Cechov è l’animo umano e nessuna delle anime che incontriamo è felice anzi, in questo mondo l’infelicità regna sovrana ma anche questo “sembra”, perché se attraverso la coscienza di questa infelicità qualcuna di quelle anime, o di queste nostre, riuscisse a intravedere la via felice, tutto si ribalterebbe. Ancora Stanislavskij:

Il fascino delle opere di Cechov sta in qualcosa di intraducibile a parole, ma nascosto sotto di esse o nelle paure, negli sguardi di intesa tra gli attori, nella emanazione del loro sentimento interiore.

Mentre l’azione esterna sulla scena diverte, distrae o eccita i nervi, quella interna contamina, afferra la nostra anima e se ne impadronisce.

Con Le nozze prendiamo Cechov dal lato dell’azione esterna: piena di dinamiche comiche Le nozze “sembra” un atto comico. Ma non lo è. Attraverso le clownerie, allo stato potenziale presenti anche ne Il gabbiano, Cechov ci porta in un mondo pacchiano dove  regnano sovrani l’interesse e la buffa superficialità, dove i personaggi si perdono e si avviluppano nello loro stoltezze e ci si perdono dentro e ancora sentiamo l’eco dell’invettiva del Cechov de Il Gabbiano: “rozza è la vita!”

Ecco che ne Il gabbiano attraverso l’azione interna e ne Le nozze attraverso l’azione esterna si compie e comincia il nostro viaggio cechoviano, attori e spettatori, a raggranellare passi per intravedere una vita finalmente non più “rozza”.

Riccardo De Luca

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Riccardo De Luca ci fa ritrovare Cechov attraverso i giovani “Il gabbiano” e “Le nozze”

I classici, si sa, sono quei testi che appartengono a quegli autori che, non a caso, hanno affascinato l’immaginario collettivo di quel pubblico che nei secoli fruiva di un teatro scritto per lui e non per pochi intellettuali che, per sentirsi tali, oggi hanno bisogno di drammaturgie contorte delle quali si beano essere i pochi eletti a comprendere, generando, a nostro avviso, il grande equivoco che ha portato ad una crisi del teatro in Italia, che oggi vive una spaccatura tra gli intellettualismi sterili di cui sopra ed il becero cabaret di stampo televisivo, in cui confluiscono spettatori orfani di una prosa in cui riconoscersi. Anton Pavlov Cechov è uno di quegli autori che, per l’appunto, vengono definiti “classici” grazie al costante appeal nei confronti del pubblico che da un secolo lo ama per l’assoluta levità ed allo stesso tempo profondità con cui ha trattato l’umano, senza mai perdere di vista il mezzo con cui si esprimeva, ovvero il teatro. Non è un caso che ancora oggi sia tra gli autori più rappresentati al mondo anche se, a causa sempre degli snobismi di cui sopra, sovente tradotto con regie non rispettose del suo intento di parlare a tutti o, per le regole di un mercato sempre più ripiegato su se stesso, impegnate a centralizzare la rappresentazione su questa o quella star che si cimenta ad esserne protagonista, dimenticando così la polifonica rappresentazione del microcosmo umano, vera forza dell’autore russo. È quindi un vero piacere per chi ama il Teatro, quello vero e non quello da pulpito peloso, assistere alle tappe di CECHOV CONTEMPORANEA MENTE, studio sulla drammaturgia cecoviana compiuto da Riccardo De Luca. La forza del progetto di De Luca è, per l’appunto, quella di riuscire ad evocare sulle tavole del palco dell’ARCI di Cavalleggeri d’Aosta in Napoli, l’essenza della lezione di Cechov, e lo fa con la levità dell’autore e la semplicità di rappresentazioni scarne e scevre da sovrastrutture che portano in evidenza la grande forza dei testi. I due primi episodi di quello che promette di essere un vero e proprio viaggio attraverso le opere cecoviane sono rappresentati da interessanti messinscena del “Gabbiano”” e delle “Nozze”, due tra i più rappresentativi esempi di grande comunicatività teatrale del nostro, in cui la regia, sapientemente, riesce a restituircene le atmosfere, così distanti e così allo stesso tempo vicine fra loro, senza mai anteporsi al testo. L’asciutta prosa de “Il Gabbiano” viene resa ancora più stilizzata dalla versatile regia di De Luca, che, in soli 60 minuti, riesce a condensare il testo originale senza far perdere una virgola della dolente storia dei suoi personaggi, ridotti a sei con l’introduzione di un io narrante (Anna Rosa Confuorto) che raccorda le scene attraverso l’enunciazione delle didascalie e l’interpretazione dei personaggi sacrificati dai necessari tagli drammaturgici. Gli attori: la già citata Conforto, la duttile Elisabetta De Luca, dal forte carisma scenico e che attorialmente ci regala una Mascia ben equilibrata sul limitare tra ironia e dramma, Michele Romano (un Semion ironico e patetico) Milena Cozzolino (cinica e fatua Irina)e Roberta De Pasquale (nel difficilissimo compito di restituire il personaggio maschile Trigorin, trasformando con misura la forte connotazione sessuale in superficiale disinteresse e saremmo davvero ingiusti nei confronti soprattutto di chi legge se non rendessimo nota, citandola con sincera ammirazione, l’eccellenza delle interpretazioni di Annalisa Renzulli (per la quale non troviamo altri termini per definirla se non strepitosa, nel difficile ed insidioso ruolo di Nina a cui regala la sua giovinezza e la sua assoluta fedeltà, con gestualità ed intonazione, alla grande scuola del vero Teatro) e Gennaro Maresca (un grande talento messo in gioco senza avarizia nel regalarci un Kostantin arrabbiato e disperato senza cadere in virtuosistici compiacimenti).” Un ensemble, quella diretta da De Luca, che convince anche nel grande tourbillon scenico che è costituito da “Le Nozze”, atto unico ironico e sarcastico con cui Cechov ancora una volta analizza, questa volta premendo l’acceleratore dell’umorismo, a lui tanto caro, i piccoli orrori della società che gli fu contemporanea, ma che sono gli orrori anche della società di oggi. De Luca ne amplifica il linguaggio comico inserendovi citazioni del repertorio farsesco napoletano, condendolo con un vertiginoso non sense e regalandoci gag e momenti musicali divertentissimi, a cui ben si adattano i suoi giovani attori, dai già citati Renzulli e Maresca (che confermano il loro talento), Cozzolino e De Pasquale (che dimostrano, in panni maschili, quanto il teatro fatto bene renda credibile anche l’incredibile), De Luca e Romano (divertentissimi nel caratterizzare in maniera personalissima la sposa ed il capitano), Maria Sperandeo, Giovanni Sicignano, Federica Magnacca ed Anna Olivieri. Concludiamo con la considerazione che gli undici giovani attori portati in scena da De Luca riescono nel compito di farci amare ancora il teatro, certo per la loro bravura e la loro fresca passione per la scena ma, soprattutto, per la loro totale assenza di presunzione e propensione alla polemica, che, ahinoi, accompagna tanti loro colleghi, coetanei e non solo.

(Gianmarco Cesario — Teatro.Org)

“Il gabbiano” di Riccardo De Luca: “in una sola scandalosa ora” restituisce lirismo e ironia all’opera dell’autore russo.

«Ho incentrato lo spettacolo sulle azioni-più o meno mentali- dei personaggi principali e ho creato intorno a loro un fool cechoviano, Evghenja, dal nome dell’amata madre di Anton, che tesse le trame e riprende quello che di Cechov hanno i personaggi qui esclusi». Le note registiche di Riccardo De Luca si rivelano preziose come introduzione per la visione di un lavoro particolarmente complesso. Per la rassegna natalizia partenopea “Natale ha Napoli”, all’Arci Teatro Cavalleggeri d’Aosta, la Compagnia  giovani Experimenta (Elisabetta De Luca, Roberta De Pasquale, Gennaro Maresca, Anna Rosa Confuorto, Milena Cozzolino, Annalisa Renzulli, Michele Romano), diretta dal maestro Riccardo De Luca, rappresenta “Come sono tutti nervosi, e quanto amore, oh lago stregone!” ovvero  Il Gabbiano di Cechov,  il 7, 8 e 13 gennaio. Questo, il primo appuntamento, del progetto “Cechov Contemporanea Mente”, elaborazione di un approfondito studio sperimentale sulla drammaturgia cechoviana. Qui, Riccardo De luca contrae, magistralmente, i quattro atti de “Il Gabbiano” dell’autore russo, rappresentato per la prima volta nel 1896 all’Aleksanriskij Teatr di San Pietroburgo, proponendolo “in una sola scandalosa ora”.
La scena appare completamente nuda, eppure “sembra” che non manchi nulla. Tutto è visibile e riconoscibile. Evghenja Serghèevna (Anna Rosa Confuorto), personaggio ricavato da De Luca mettendo insieme quelli eliminati dalla sua riduzione e che porta il nome dell’adorata madre di Cechov, come un’autentica didascalia narrante, descrive luoghi, cose e pensieri. Storie d’ amore e di morte. C’è un lago, statico ed inquietante e in fondo  un piccolo teatro-scheletro, ormai  misero simulacro dell’arte. Konstantìn Trepliòv (Gennaro Maresca) è l’autore teatrale che cerca incessantemente nuove forme “necessarie” per rinnovarsi e sorprendere o forse per supplire solo la sua carenza di idee. Insicuro e psicologicamente debole, Kostja, vive all’ombra della madre, la famosa attrice Irina Nikolàevna Arkàdina (Milena Cozzolino), esuberante ed egocentrica sulla  scena come nella vita, severa giudice di un figlio, autore  decadente di opere che valgono meno di un “meschino vaudelille”. Boris Aleksèevic Trigòrin (Roberta De Pasquale), famoso drammaturgo del momento, è l’amante di Irina: afflitto  dalla bramosia di scrivere, come un “martire della penna”, si annota compulsivamente ogni particolare perché per lui tutto può diventare “un soggetto per un breve racconto”, anche  la sofferenza di una donna innamorata e la morte di un gabbiano. Sulle rive del lago stregone sta per andare in scena un monologo  scritto da Trepliov per l’amica d’infanzia, il suo grande amore, la futura attrice Nina Zarèĉnaja. Nina (Annalisa Renzulli) è la ragazza del lago, eterea e leggiadra, sospesa tra acqua e cielo. Nina, in perenne osmosi dialettica tra arte e vita, sogna di librarsi come un gabbiano in volo. In virtù del sacro fuoco del palcoscenico, la giovane attrice rimane affascinata da Trigòrin e lo segue a Mosca. Ma  da qui, il vulnerabile gabbiano-Nina, comincerà a planare ed il bianco uccello, sinonimo di pura libertà, comincerà a rivelare  morte. Sulle note dell’ appassionata musica del cantautore Mango gli attori/gabbiani incedono danzando, conferendo particolare lirismo all’azione scenica. A tratti, sulla scena, si coglie un’ ironia sottile, quella a cui lo stesso Cechov ha fatto più volte appello a proposito delle sue opere: un’ironia quasi alleniana appare nella scena, in cui Mascia (Elisabetta De Luca) e Trigòrin duettano, come in un film muto, bevendo vodka, che ricorda stralci della pellicola “Amore e guerra” del regista newyorkese.
Trepliov intanto si avvia a diventare uno scrittore di successo passando attraverso la sofferenza della ricerca interiore e artistica, la sua autodistruzione a favore dell’arte giunge alle estreme conseguenze e gli fa toccare con mano la propria sconfitta d’artista e di uomo: «Ho parlato tanto di nuove forme, e ora sento di essere scivolato io stesso nella routine». L’allegra comitiva della casa sul lago s’intrattiene nella  tombola natalizia di tradizione partenopea. Gioco semplice, lento e paziente, che genera attesa in chi  attende risposte. Ognuno, senza la frenesia di  triturare il tempo, tollera le probabili sorprese che il numero estratto ha in serbo. Il rituale e familiare rumorio del “panariello” che ruota, fa da sfondo alla tragica caduta di Konstantìn Trepliòv. Il colpo mortale, dell’estremo gesto, fa sussultare Mascia, ammalata d’amore per il fragile scrittore, che,  sgomenta soffoca il dolore e le lacrime così come frena il grande amore di tutta una vita, sposando Medvèdenko (Michele Romano), un “buon uomo” che si domanda seriamente: «ma quanto può guadagnare un poeta?». In conclusione, l’amaro epilogo della pièce viene rivelato, e non a caso, soltanto a Trigòrin: “il successo nemico della vita”. Gli astanti, visibilmente commossi, decretano generosi applausi. Chapeau ad una messinscena esaltante, costruita con raffinata eleganza e meticolosa precisione. All’ Arci Teatro Cavalleggeri d’Aosta, con il talento degli attori di Experimenta Teatro e la professionalità del maestro De Luca, l’anno nuovo è iniziato nel migliore dei modi. Buon sipario 2012.

(Settimopotere.comAntonella Rossetti)